mercoledì 30 aprile 2014

Arcipelago Uomo - Prologo


Il cadavere rimuginava sulla vita. Non sulla sua, come ci si aspetterebbe, ma sull'argomento vita in generale. Massimi sistemi insomma.
Bloccato nelle acque scure e limacciose tra i legni di una bricola piantata non lontano dal forte San Pietro, costruito per proteggere la bocca di porto di Malamocco a fine 1600.
Avrebbe aspettato che qualche corrente lo liberasse.
In inverno le correnti della laguna di Venezia sono piuttosto forti e lo avrebbero portato a galla presto. Almeno lo sperava.
Il mare prende, il mare restituisce. Una frase di suo nonno prima, di suo padre poi; ora congelata tra le sue labbra dischiuse dal freddo della morte e di quelle acque.
Così ammazzava il tempo con la filosofia.
 
Si chiedeva infatti perchè la sua anima fosse ancora a mollo in quel liquido salmastro in cui i fiumi ed il mare intrecciavano il destino.
Al momento del trapasso non aveva visto scorrere la sua esistenza ma solo la realtà che diveniva sfocata ed il tempo rallentare. Fino a che l'istante della sua fine si dilatò all'infinito.
Il tempo era la dimensione che mancava al suo essere, definito come "uomo" dalla sua caducità, ormai avvenuta era divenuto un altra cosa: il non essere.
La mancanza di questo elemento lo cristallizzava facendolo sentire un insetto nell'ambra. Un'ambra salmastra fatta di acqua immobile come quell'attimo in cui la vita si ferma.
Il morto si chiese se quella sua condizione significasse qualcosa. Cosa rimane di noi se rimane lo spazio ma togliamo il tempo? Un cadavere. 
No, un fantasma.

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